Il termine Flexitarian deriva dalla fusione tra ‘Flexible’ e ‘Vegetarian’ e si riferisce a un regime alimentare flessibile, che predilige prodotti plant-based ed integrali senza eliminare del tutto il consumo di carne, ma limitandolo il più possibile.
Il fenomeno flextariano ha esordito anche grazie all’uscita del libro “The China Study” di T. Colin Campbell, il ricercatore americano definito “una delle 25 persone più influenti nel campo dell’alimentazione”. Le sue scoperte ci hanno aperto gli occhi sui pericoli di una dieta ricca di proteine animali e sui benefici per la salute di una dieta a base di alimenti vegetali e integrali.
L’opinione pubblica ha incominciato anche ad internalizzare la relazione tra carne e cambiamento climatico. Un rapporto del 2020 di IDTechEx ha rilevato l’insostenibilità dell’industria della carne, dimostrando che il bestiame utilizza il 83% dei terreni agricoli contro un 18% di consumo calorico globale proveniente da carne e latticini. La relazione tra alimentazione e salute e la crescita della consapevolezza che consumare meno carne significa limitare allevamenti e agricoltura intensivi, sono le due forze che hanno inesorabilmente spostato la barra sulla dieta flessibile.
Una ricerca di Mintel del 2020 mostra che più di un consumatore su quattro (28%), ha ridotto o limitato il consumo di carne negli ultimi sei mesi, mentre un altro 14% è interessato a farlo. Ciò rappresenta un’enorme opportunità per i marchi alimentari e suggerisce che il “flessitarismo” non è una moda passeggera. “Dato che il mercato senza carne diventa sempre più affollato” dice Kate Vliestra, analista di Mintel, “I brand dovranno trovare più modi per distinguersi dalla concorrenza: non è più sufficiente essere meat-free. Le aziende dovranno essere trasparenti sulla salubrità dei loro prodotti e anche affrontare la qualità e la quantità dei nutrienti per conquistare il consumatore più esigente“.